Il film-maker è una figura professionale-anche un’attività amatoriale – apparsa in questi ultimi decenni in cui lo sviluppo tecnologico ha permesso la nascita di un cinema indipendente anche se povero
Il soggetto
Sono pochi i registi che fanno un film da un’idea tutta loro. La gran parte – e parlo ovviamente di registi di gran livello – ha bisogno di un autore da cui prendere un’idea, una storia. Come se uno scrittore scrivesse un romanzo traendo spunto o addirittura “prelevando” la trama di un racconto scritto da altri. Naturalmente parto dalla convinzione che un regista è un narratore che si esprime con il linguaggio delle immagini in movimento.
In quali condizioni un regista può essere giustificato se porta sullo schermo una storia preesistente espressa con il linguaggio letterario? Come accadeva ai grandi pittori di un tempo, ai quali veniva affidato il compito di narrare con immagini e colori vicende raccontate da altri o eventi storici reali di forte rilievo, così accade che si affidi a un regista la versione filmica, per esempio di un’opera di Omero oppure di un dramma di Shakespeare, o di un romanzo di un autore contemporaneo di successo. In questi casi, al di là delle motivazioni, culturali oppure commerciali, è comprensibile che un regista sia stimolato quasi a competere con l’autore dell’opera originaria.
Non è un caso che specie quando si tratta di un romanzo ci siano commenti che pongono a confronto il film con il romanzo da parte di chi ha visto l’uno e letto l’altro. Ne scaturisce appunto una sorta di competizione. Entrambi, scrittore e regista, sono considerati dei narratori che utilizzano linguaggi differenti. Allora perché il regista non racconta una storia sua!?
Il linguaggio delle immagini e il cinema e la televisione che lo veicolano sono alla portata di tutti sia per il costo (un film costa meno di un libro) sia per la comprensione, perché il linguaggio analogico è più facile da decodificare, sia – soprattutto – per l’abitudine a tale linguaggio e il rifiuto di accostarsi a quello letterario. Ecco allora che si spiegano queste strategie commerciali di trasferimento da un linguaggio all’altro. Non accetto però quando tali strategie vengono presentate come operazioni culturali. Spesso si sente dire: è meritorio portare sullo schermo e far vedere l’Odissea a gente che altrimenti non la conoscerebbe mai. Come se le vicende di Ulisse fossero l’Odissea! Le vicende di Ulisse sono la storia narrata nell’Odissea, ma non sono l’Odissea di Omero. Sullo schermo non è Omero che narra, ma il regista cui è stato dato il compito di raccontare le gesta di Ulisse.
Ho alto il senso dell’arte cinematografica e non accetto la subalternità all’opera letteraria, per questo per me il regista non è solo colui che narra, è anche l’ideatore, l’ autore della storia. Deve narrare insomma una sua storia. Insisto su questo punto perché molti trovano normale che il regista racconti storie altrui. Io trovo semplicemente che è un condizionamento delle origini del cinema.
Il primo a convincersi di essere un autore deve essere però il regista. E dunque la formazione del regista deve partire dallo stimolare e sviluppare la capacità di pensare e scrivere soggetti.
Gli aspiranti registi devono essere aiutati a soffermarsi su tutte quelle opere che raccontano qualcosa, a risalire dalle storie alle idee che ne sono alla base, discutere sulle idee, discutere sulle storie. Formare una cultura delle idee e delle storie che possono esprimerle. Se questa fase è carente, il rischio è grave. Un regista non abituato a risalire dalla storia all’idea, abituato invece a soffermarsi alle vicende, alla trama, può non comprendere e travisare per esempio un romanzo. Una cosa del genere è accaduta, ne sono stato osservatore impossibilitato a intervenire. E’ accaduto che non venisse colto il senso di un racconto di un autore noto proprio per essere un indagatore dell’animo umano. Una buona cultura di base avrebbe potuto mettere in guardia il regista che si apprestava a realizzare un film da quel racconto e gli avrebbe evitato di ridurre una storia di profonda introspezione psicologica a una vicenda banale senza spessore.
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