A partire dal 2010, molti sono stati gli ingressi nel mondo culturale della provincia di Lecce: sono quasi tutti poeti-narratori, alcuni dei quali oggi, solcano l’onda del successo tra presentazioni ed eventi. A questi, dal 2012, si è sommata Giulia Reale, seppur timidamente e con passi incerti.
Giulia m’è stata presentata da Antonio Soleti. Con lei ci siamo incontrati alcune volte, molto spesso per un caffè. Sicché tra me e Giulia s’è stabilito un rapporto che, sebbene minimo, mi sembra significativo. E perché? Perché ha una morfologia particolare e, per certi aspetti, stravagante. Nei nostri incontri, io e Giulia, temporeggiamo, facciamo melina: sono assenti, da parte sua e da parte mia, un fare caratterizzato, un’evidenza certa, un accento sul dire. Eppure, lei non è superficiale, epidermica, e tutto mi rimanda invece ad una persona fatta di ponderazione, avvedutezza, tipiche di chi ha molto vissuto, anche se ha appena trentacinque anni ed è mamma di Vittoria. Questo non esclude -perché ne sono certo- che sia capace di sane follie, anche se estemporanee e, allo stesso tempo, controllate.
Il motivo di tutto ciò? Devo marcare che esiste una profonda asimmetria tra il suo essere de visu e la sua produzione letteraria. Qui si presenta decisa, secca, priva di esitazioni, quasi spavalda, al contrario della sua persona che sembra sempre in bilico, dubbiosa. Nasconde la sua fermezza? Preferisce mostrare il suo aspetto lunare? Gioca in contropiede?
Ho letto la sua ultima pubblicazione (2017), che ha realizzato con Argomenti Edizioni e finanziata dalla Fondazione Focara di Novoli: Il sogno del Barone. Si tratta di un racconto ben congegnato, che si colloca tra il romanzo d’avventura, il giallo e il romanzo storico. Centrale in questo racconto è l’amore. Un amore narrato in una prospettiva soft e romantica, che mai si tramuta in qualcosa di scontato. Il lettore è sempre in suspance: non c’è una pagina vuota. Rispetto ad una buona parte dello scenario leccese, Giulia mi sembra tra le più pulite nella narrazione: quasi assenti sono i tratti ingolfati, incerti o annacquati. E Giulia tiene sempre ferma la trama con la sua penna, senza molte distrazioni aggettivali o intrattenimenti in figure retoriche di specie: secca ed incisiva fino alla fine e fino in fondo.
E’ il suo racconto preferito, a quanto pare. Forse perché si rivolge al passato, forse perché in questa dimensione il suo essere e il suo percepire la vita si sviluppano in maniera piena ed appagante. Tutto ciò non implica che Giulia rifiuti la realtà nella quale vive, per cui il raccontare è un rifugio, un ripiego. Anzi, questa la conosce bene, ma nel passato trova la dimensione più nobile, sentimentale e romantica della sua esistenza. In tale direzione, si potrebbe pensare che sia una sognatrice, e forse lo è, e forse se ne ha bisogno di questi sognatori.
Certamente, tutto ciò collide con parte della sua produzione poetica, in cui sono evidenti molti rimbalzi erotici, che richiamano alla carne, nel senso più stretto, ma credo che solo per certi aspetti la caratterizzino, data la loro natura episodica. In ogni caso, nella sua produzione sta prendendo corpo la sua ambivalenza, del tutto legittima, tra una visione della vita segnata dai buoni sentimenti ed una più mondana e dissoluta, dove prevalgono le ordinarie pazzie della sua età e del suo tempo.
Certamente, Giulia ha molta strada da fare come scrittrice, ma forse tra una titubanza e l’altra, tra un bagno di successo e l’altro, ci regalerà ancora pagine di pregio, che i critici non potranno ignorare con facilità.
di Mauro Ragosta