Una volta Indro Montanelli disse di Berlusconi: “Mi auguro che Berlusconi vinca le elezioni, mi auguro che vinca perché l’uomo con le promesse sappiamo benissimo quale forza trascinante possieda. Mantenerle però è un’altra cosa. Si può tingere le proprie sconfitte dei colori più vivaci, più seducenti, più belli ma le sconfitte vengono fuori e lui va incontro a delle grosse sconfitte”.
Mi piace tracciare dei parallelismi tra epoche politiche, perché permettono di avere una visione plastica del presente. Il tempo è in continuo divenire un concetto relativo, e talvolta l’uomo moderno invece tende ad assolutizzarlo, decontestualizzandolo da un passato che lo precede e da un futuro che lo supera; quindi, spesso, non comprende alcune ragioni di un determinato fenomeno, e le sue naturali conseguenze. Oggi, se dovessi tracciare un parallelismo, riportando la frase di Montanelli all’attuale presente, credo che l’imperituro direttore del Il Giornale esprimerebbe lo stesso pensiero attribuendolo al Movimento 5 stelle. Un nemico invisibile, perché scarsamente presente sul territorio, in pochissime realtà al governo, ma che soffia forte quando deve raccogliere malcontento, o redditi di cittadinanza di cubana memoria. Finché non siederà al governo rimarrà invisibile, come invisibili spesso sono i suoi dirigenti, e i suoi referenti, persi in una rete che non sempre è chiara e trasparente, ma che permette un camuffamento considerevole. Solo quando sarà al governo risponderà di se stesso ad un elettorato che avrà gonfiato di altissime aspettative. Del resto è facile stare all’opposizione, si capitalizzano gli errori altrui, e si dimezzano le proprie responsabilità. Se poi si pensa che il 18% dei voti del Movimento 5 stelle proviene dal Pd, si comprende anche perché non dispiaccia ai democratici di sinistra questo tipo di alleanza che egoisticamente auspico fortemente, perché credo che qualunque partito si allei oggi con il M5stelle verrebbe bruciato da un branco di catapultati allo sbaraglio, privi di esperienza politica e con un programma elettorale irrealizzabile. Il rischio di un mancato governo, è tornare al voto e vederli passare dal 32% al 45%. Così, non per meriti propri, ma per demeriti altrui, perché il vento soffia. Ecco, per questo non credo che il M5stelle rappresenti un voto di speranza, come qualche politico locale ha letto il loro successo elettorale, bensì come un voto della disperazione, più proprio del: “ci coiu coiu”. Ed infatti pochi di quel 32% di elettori sanno chi hanno votato ed eletto, secondo l’andazzo del meglio uno sconosciuto di un solito noto.
Questa campagna elettorale ha avuto tanti sconfitti, due vincitori (Lega e M5stelle), molti delusi, le solite divisioni, e ci ha lasciato con un amaro in bocca che è rappresentato dalla difficoltà di creare un governo forte e solido, come invece questo paese necessita. In questi casi, nessuno vince e nessuno perde, o meglio in Italia tutti vincono e nessuno perde, perché oggi tutti sono fondamentali per la costituzione di un governo che non rappresenta la maggioranza di un paese, con tutti gli annessi e connessi.
Verrebbe da chiedersi: ma il M5stelle è la malattia, o per lo meno è l’effetto visibili di qualcosa che in questo nostro paese non funziona, al pari di una febbre in un corpo malato, oppure sono la cura, la giusta medicina?
Ritengo, e credo che anche gli elettori pentastellati, quelli più critici, o meno invasati, possano convenire sul fatto che il movimento, inventato da un comico con la giornata mondiale del Vaffanculo Day, le cui fila sono gestite da altri che non sono italiani, non sia la risoluzione di un problema. Perché è subito detto. Il movimento nasce come movimento trasversale di protesta di chi ha subito la politica, perché il mondo politico è divenuto autoreferenziale, completamente scollato dal territorio che dovrebbe rappresentare, ed anche perché i partiti, le sezioni cittadine, i coordinamenti provinciali e regionali, hanno smesso di essere il naturale ponte tra la società civile e Roma. A questo si aggiunga che i partiti di destra perseguono politiche di sinistra e viceversa per avere tutti gli ingredienti necessari per alimentare il vento pentastellato.
Così è finita una classe politica, smantellata da un vento che soffia improvviso, ma che rimane come tutti i venti, privo di una reale meta. Giustamente Congedo dice: “non ero pronto ad uno Tsunami”. Duro è spiegare alla cittadinanza che quello Tsunami ce lo siamo cresciuto in casa, per mille e tante ragioni e per mille e tante responsabilità. Compiuti i doverosi mea culpa, perché in questo modo si è lasciato sguarnito e privo di riferimenti un folto elettorato di destra, rimane doveroso spiegare il fatto, che quello Tzunami, da un lato impone un ripensamento della politica locale e nazionale, e quindi in quest’ottica potrebbe essere un bene, perché ci mette di fronte ad un dato di realtà che come disse Gustave Thinon è da preferire ad un falso ideale: ”meglio una brutta verità di un falso ideale”, dall’altro rimane pur sempre uno Tzunami, un rigurgito emotivo, un atto viscerale, una sana scelta di pancia. Tutti noi comprendiamo, però, che il bene non passa mai dalle viscere, bensì dal cuore e dall’intelletto. L’amore, quello che passa e supera il tempo, non è quello iniziale, quello passionale, emotivo, ma quello ponderato e misurato. Questo vale per la vita privata e di coppia, ma anche per la vita pubblica.
Perché dunque nonostante questa anti politica, la Lega ha vinto passando dal 4% al 18% in soli 5 anni, accreditandosi anche nel Sud Italia? Perché ha fatto quello che il M5stella ha imposto con sonore sberle ad un centrodestra ingessato, e cioè un rinnovamento graduale della classe dirigente. Ha coltivato una politica sul e del territorio, ha saputo puntare sul quel sano concretismo caro alla politica del fare e libero dalle ideologie e mode del momento.
Il Movimento5 stelle in conclusione è stato utile, ma di certo non è la soluzione di un problema, anzi, quando la destra capirà quale medicina assumere, il male sparirà e con esso i 5 stelle, e quell’elettorato a quel punto potrà tornare ad occupare la sua vecchia casa un tempo abbandonata.
Riccardo Rodelli