MELENDUGNO (Lecce) – Il gasdotto Tap in fase di realizzazione sulla costa di Melendugno non può essere un’opera assoggettata alla direttiva Seveso: è quanto riportato nella super-perizia disposta dal gip Cinzia Vergine, nell’ambito dell’incidente probatorio aperto nell’indagine avviata dalla Procura di Lecce. La perizia è stata depositata oggi. I periti avrebbero stabilito nel loro elaborato di 31 pagine che l’opera non può essere assimilabile ad uno stabilimento e quindi il terminale Tap e quello di Snam per la interconnessione con la rete nazionale devono essere considerati due progetti differenti. Pertanto non devono essere valutati unitariamente ai fini dell’applicazione della direttiva Seveso sulla prevenzione del rischio di incidenti rilevanti.
Erano sette i quesiti ai quali erano chiamati a rispondere gli esperti Fabrizio Bezzo, Davide Manca e Lionella Scazzosi. Il primo punto doveva accertare se vi fossero i motivi tecnico amministrativi ed in caso positivo quali, per cui l’opera consistente nella realizzazione del gasdotto Tap, volta a trasportare in Italia dal confine greco-turco attraverso Grecia e Albania il gas proveniente dai pozzi di estrazione siti in Azerbaijian fosse stata frazionata in due progetti (quello Tap che riguarda solo il tratto del metanodotto fino a Melendugno e quello Srg per la connessione alla rete nazionale relativamente a cabina di misura, area trappole e gasdotto dalla cabina fino a Mesagne. Per i periti all’interno di questo quadro normativo risulta che il progetto dell’infrastruttura di connessione in esenzione e quello dell’infrastruttura di connessione alla rete di trasporto nazionale (che garantisce la fruibilità del gas a tutti gli utenti finali) sono progetti separati (almeno in parte, sequenziali”.
Il secondo quesito verteva sulla questione se l’opera si dovesse considerare funzionalmente unitaria e se ai due progetti fossero applicabili le direttive Seveso. Sul punto, gli esperti del gip sottolineano che non vi è alcuna apparecchiatura che possa in qualche modo indirizzare l’interpretazione del progetto PIDI verso la definizione di stabilimento secondo il decreto legislativo 105/2015 relativo alla direttiva Seveso.
Il terzo punto doveva approfondire se l’unione dei due progetti di Tap e Srg sarebbe risultato comunque un’opera finalizzata al “trasporto di sostanze pericolose in condotte sono stati valutati lo strumento di impatto ambientale in Italia. Per il pool di esperti le due opere vengono ritenute unitarie in quanto il funzionamento della prima parte implica necessariamente la realizzazione della seconda. In più la valutazione dell’hold up non ha alcun impatto in termini di applicabilità del decrero Seveso.
I periti si sono soffermati anche sulla possibilità o meno di svolgere ab origine o se dovesse essere svolta ab origine una valutazione unitaria dei due progetti. Nella perizia si legge come sono state avviate due procedure distinte in coerenza con la normativa di settore relativa agli impianti di gas che hanno preso avvio in due fasi temporali distinte, da due diversi proponenti e con studi diversi e valutazioni distinte che entrano nel dettaglio delle problematiche ambientali e paesaggistiche. Dal punto di vista della valutazione ambientale-paesaggistica avrebbe dovuto essere predisposta parte dello studio con la finalità di una valutazione complessiva dell’opera fino alla connessione con la rete nazionale con un approccio almeno di massima; oppure avrebbero dovuto essere trovate altre soluzioni per giungere allo stesso risultato tecnico. Se è vero che l’opera può essere materialmente costruita per tratti successivi è sicuramente vero che la giacitura del primo tratto vincola inequivocabilmente il tracciato del secondo e ne genera l’obbligatorietà. Dal punto di vista tecnico degli studi ambientali-paesaggistici, il primo tratto è l’opera che dà avvio agli impatti e il suo studio deve presentare, sia pure in linea di massima, gli impatti indotti, diretti, indiretti e cumulativi della globalità dell’opera.
Nella superperizia è stata affrontata un’altra questione posta sotto forma di quesito: se l’unitarietà del progetto avrebbe comportato una stima diversa con particolare riferimento all’eventuale superamento della soglia massima di 50 tonnellate. Per i periti in tale contesto la soglia massima di 50 tonnellate non risulta pertinente.
Altro punto affrontato, più volte sollecitato dagli stessi sindaci che hanno consentito di riaprire l’indagine, si incentrava se l’unitarietà del progetto avrebbe comportato la qualificazione del Prt Tap e dell’area Srg denominata P.I.D.I. con caratteristiche tecniche tali da configurarli come impianti REMI. Per i periti nè il Prt (il terminale di ricezione) nè il sito Pidi considerati singolarmente o in modo unitario possono essere catalogati o configurati come impianti REMI e entrambi non sono stabilimenti e perciò non assoggettabili al decreto legislativo 105/2015.
L’ultimo punto mirava a verificare se la normativa Seveso fosse stata applicata nei casi di altri Prt connessi a gasdotti di importazione all’estero già realizzati in Italia e in Europa. In conclusione non sono state trovate in Italia o in Europa strutture tecnologiche analoghe al terminale Prt di Tap in cui sia stata applicata una qualche forma della Direttiva Seveso.
Sulla base di queste conclusioni il gip dovrà decidere come procedere: in linea di massima dovrebbe fissare una udienza per l’esame dei periti in contraddittorio; in caso contrario il gip potrebbe trasmettere il fascicolo al pubblico ministero Valeria Farina Valaori, titolare del fascicolo, che dovrà decidere se richiedere l’archiviazione o per la prosecuzione delle indagini in vista di una richiesta di rinvio a giudizio a carico degli indagati accusati di truffa aggravata. Il pm, ipotesi sfumata ma sempre possibile, potrebbe comunque disporre una nuova consulenza di parte.