LECCE – Il progetto di autonomia differenziata di cui si discute a Roma, che sta tanto a cuore alle regioni più ricche d’Italia potrebbe mettere a rischio i meccanismi di solidarietà che ancora tengono in piedi le regioni del su, anche se in modo zoppicante. Dal Veneto alla Lombardia, invece, c’è voglia di agguantare ancora più risorse: ricchezza chiama ricchezza. Anche a Lecce stanno nascendo dibattiti e movimenti di intellettuali e politici per aprire un dibattito costruttivo che scongiuri leggi a favore dei più forti. Oggi con il giuslavorista Fernando Caracuta, coordinatore provinciale di «Italia Mediterranea», parliamo dell’autonomia differenziata per capire quali potrebbero essere gli effetti sul mondo del lavoro e sul già esistente gap di servizi e opportunità tra nord e sud.
L’autonomia differenziata qualcuno la vede come un’enorme minaccia per un sud che parte in enorme svantaggio. In cosa consiste tecnicamente? Ha avuto modo di leggere qualche bozza? È allarme rosso?
«L’autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario è una potestà riconosciuta dall’art. 116 della Costituzione dopo la modifica avvenuta con la riforma costituzionale del titolo V approvata nel 2001. Tale norma prevede la possibilità di attribuire forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario, il cosiddetto. regionalismo differenziato o regionalismo asimmetrico, in quanto consente ad alcune Regioni di dotarsi di poteri diversi dalle altre. Le materie su cui è consentito intervenire sono quelle che l’art. 117 Costituzione attribuisce alla competenza legislativa concorrente. Il Veneto vorrebbe per sé tutte e 23 le materie, la Lombardia 20, l’Emilia Romagna 16. Per evitare pericolose fughe in avanti, è prioritario applicare il dettato costituzionale, a partire dall’art. 117, secondo comma, lettera M), garantendo i livelli essenziali delle prestazioni riguardanti i diritti civili e sociali dei cittadini e assicurandone l’esigibilità in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, a partire dai diritti sensibili quali l’istruzione, la sanità, la sicurezza, il lavoro, la tutela dell’ambiente, che rappresentano le fondamenta della nostra repubblica democratica.
La bozza dell’accordo prevede che entro un anno dalla sua entrata in vigore dovranno essere stabiliti per ogni materia i fabbisogni standard: nel caso in cui, tuttavia, dopo un anno dall’entrata in vigore dei decreti, non siano stati adottati i fabbisogni standard, l’ammontare delle risorse assegnate alle Regioni per l’esercizio di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia non può essere inferiore al valore medio nazionale pro-capite della spesa statale per l’esercizio delle stesse. In una parola: alle Regioni del Nord in tal modo andrebbero più soldi. Ad esempio, il Veneto chiede più soldi per una Cassa Integrazione Guadagni su base regionale, nonostante la CIG stessa sia finanziata dalle tasse di tutti i lavoratori, e voglia esercitare le funzioni in materia di ammortizzatori sociali, sulla base di intese con il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale».
Tornano le gabbie salariali? Stipendi diversi da nord a sud in base al costo della vita fissato secondo criteri discutibili?
«È lo stesso alleato di governo della Lega a sostenere che il partito di Salvini vuole introdurre le gabbie salariali, che per ora riguarderebbero solo la scuola, per cui gli insegnanti che lavorano al Nord avrebbero stipendi più alti degli insegnanti che lavorano al Sud. Nulla esclude, ovviamente, che, in futuro, tale proposta possa estendersi anche ad altri settori dello Stato.Le gabbie salariali sono esistite per oltre un ventennio, nel secondo dopoguerra, poi sono state abolite in quanto alimentavano il divario tra il Nord e il Sud del Paese. Nel periodo in cui vi erano le gabbie salariali le differenze di stipendio tra Nord e Sud raggiungevano tassi anche del 30%. Per queste ragioni furono definitivamente abolite nel 1972. Una delle motivazioni utilizzate per sostenere tale proposta é che il livello dei prezzi al Sud é più basso rispetto al Nord: ora, se questo può essere in parte vero, è pur vero anche che i lavoratori meridionali accedono ad una quantità e qualità di beni e servizi pubblici di gran lunga inferiore a quella dei loro colleghi settentrionali. Non v’é alcun dubbio, pertanto, che la loro reintroduzione oggi sarebbe un pericoloso ed anacronistico salto nel passato».
Cosa genera nel mondo del lavoro l’autonomia differenziata? Quali tipi di problemi nell’applicazione dei contratti nazionali? Converrà di più lavorare al nord?
«Le Regioni del Sud ricevono ogni anno oltre un miliardo in meno di risorse ordinarie rispetto a quanto dovrebbero riceverne in percentuale alla popolazione. Il tasso di disoccupazione é il triplo del Nord e il doppio del Centro, l’inattività é al 45,5% contro una media nazionale del 34,3%. Nel Sud, inoltre, è esploso il lavoro povero, ossia sotto retribuito e non regolare. Le retribuzioni orarie nette dei lavoratori dipendenti sono aumentate al Nord tra l’1,5 e il 2% e si sono ridotte al Sud di quasi un punto e mezzo percentuale nel periodo 2008/2017. Con questa proposta, si andrebbe verso un superamento di fatto della contrattazione nazionale ed una contestuale nascita dei contratti regionalizzati. Sarebbe la fine della solidarietà nazionale ed aumenterà ancor di più il divario Nord-Sud».
Nel campo dell’istruzione le regioni del nord potrebbero scegliersi i propri professori, scartando i giovani capaci che vengono dal sud?
«Nel campo dell’istruzione vi é la proposta, in realtà non nuova, di regionalizzare i concorsi scolastici, con la possibilità di utilizzare su base regionale i risparmi realizzati in virtù delle buone pratiche, principio che penalizzerebbe i territori più in difficoltà.
A tal proposito, vale la pena di ricordare che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 76 del 2013, relatore l’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha dichiarato incostituzionale una legge della Regione Lombardia che aveva introdotto tale possibilità. La previsione dell’autonomia, disse la Corte, non può spingersi fino al punto di consentire ai singoli istituti scolastici di scegliere il proprio personale docente con concorsi locali. Così concludendo: tale previsione, oltre ad essere del tutto eccentrica rispetto all’ordinamento nel suo complesso, é in evidente contrasto con il parametro costituzionale, secondo cui il reclutamento dei docenti appartiene alla competenza esclusiva dello Stato. Conseguentemente, non si può accettare il tentativo di regionalizzare materie quali l’istruzione che, per loro natura, devono restare nazionali, al fine di garantire l’universalità delle opportunità formative che, evidentemente, non possono essere diversificate rispetto all’appartenenza geografica. Un’altra proposta in materia di istruzione, inoltre, vorrebbe rapportare i soldi destinati alla Scuola non al numero di iscritti, come è oggi, ma al Pil generato dalla Regione, in tal modo premiando, ancora una volta, i territori più produttivi».
Un meccanismo di perequazione che riequilibri tutto potrebbe salvare questa legge?
«Si sta parlando anche della possibilità di introdurre un meccanismo di perequazione che, però, è del tutto osteggiato dalle Regioni del Nord che non vorrebbero avere tale limitazione».
Con l’autonomia differenziata i soldi che non spende la Puglia potranno andare al nord? Pagheremo le lentezze della burocrazia il doppio?
«Certo, questa è la logica sottesa a tutto l’impianto normativo: dare più risorse a chi già oggi ne spende di più ed offre più servizi».
Che impatto potrebbe avere questa proposta di legge sui servizi al sud?
«L’autonomia differenziata, sostenuta dalla rivendicazione di un uso delle tasse laddove vengono pagate, sancisce semplicemente gli squilibri che già esistono e li rende definitivi e insuperabili. In tal modo, si romperebbe il patto di cittadinanza e di lealtà, che vuol dire stessi diritti per abitanti di territori con storie diverse. Il gap di servizi nella scuola, nella sanità, negli asili, nella dotazione di verde, parchi, di attrezzature sportive, di risorse di sostegno all’apparato produttivo ecc. diventerà legittimo e, dunque, non un dato da superare, ma uno codificato per sempre».