NARDÒ (Lecce) – Lavoravano sotto il sole cocente con il rischio di accusare un malore per una paga da fame in uno stato di bisogno dettato dalla necessità di mantenere i propri nuclei familiari. C’è una seconda inchiesta giunta al capolinea sullo sfruttamento nei campi nella campagne salentine per mano di imprenditori senza scrupoli. Un avviso di conclusione è stato fatto notificare dal sostituto procuratore Paola Guglielmi (magistrato che in passato ha già coordinato altre indagini simili approdate anche in processi) all’imprenditore Antonio Leopizzi, 38enne di Nardò, legale rappresentante dell’azienda agricola “Leo Group”. Risponde di caporalato sulla scorta delle indagini condotte dai carabinieri della Compagnia di Gallipoli insieme ad una task force di forze dell’ordine sfociate a luglio dello scorso anno nell’arresto dell’imprenditore poi scarcerato dopo l’udienza di convalida.
Sfruttava i propri braccianti l’imprenditore, racconta l’inchiesta con dovizia di particolati. Sfruttava, nello specifico, otto cittadini pachistani sottopagati per la quantità e la qualità del lavoro e retribuiti non con paga a ora ma “a cottimo” pari a 1/1,40 a quintale raccolto. Lavoravano anche per 10/11 ore senza alcuna pausa violando un’ordinanza comunale emanata dal sindaco di Nardò che ordinava la sospensione dei lavori nelle ore più calde della giornate nella stagione estiva. E i lavoratori non avevano giorni liberi. Nei campi bisognava presentarsi anche di domenica. Un vero e proprio tour de force senza pause mettendo in serio pericolo la salute stessa dei braccianti che non venivano preventivamente visitati da un medico.
I pericoli arrivavano anche dalla mancanza di dispositivi di sicurezza con cui i braccianti dovevano lavorare. Privi di copricapo, scarpe e guanti e senza erogatori d’acqua per dissetarsi o igienizzarsi. E non andava bene neppure, racconta sempre questa nuova inchiesta su anguria city, quando i lavoratori erano a riposo, per poche ore. Mangiavano e dormivano in situazioni alloggiative fatiscenti e degradanti in una zona della masseria “Scogli” di proprietà della stessa famiglia Leopizzi, in un immobile strutturalmente pericolante, totalmente privo di servizi igienici, arredi, acqua potabile e con un impianto elettrico pericolante.
Questo il resoconto del report investigativo in attesa che l’indagato, difeso dall’avvocato Anna Sabato, possa controreplicare alle accuse nelle prossime settimane.