PARABITA (Lecce) – Da sodale di Massimo Donadei poi divenuto collaboratore di giustizia a capo di un’associazione a delinquere smantellata con l’operazione “Le Veneri” all’alba di ieri dai carabinieri della Compagnia di Gallipoli. L’ascesa criminale di Pio Giorgio Bove si è interrotta proprio quando, dopo tanta gavetta, il giovane di Parabita aveva scalato le gerarchie della criminalità locale raggiungendo posizioni apicali sfruttando i tanti arresti che hanno decimato le frange della Scu attiva in quella zona di territorio.
Il 34enne, per arrivare a ricoprire il ruolo che gli cuciono i carabinieri coordinati dal sostituto procuratore della Dda Carmen Ruggiero nell’ordinanza a firma del gip Simona Panzera, di gavetta ne ha fatta tanta. Perché, come in tutti i campi, anche nel mondo della malavita bisogna farsi le ossa. E Giorgio Pio Bove, al sua scalata, l’ha iniziata da giovanissimo. Il primo arresto risale al 2008 quando i carabinieri gli stringono un paio di manette ai polsi per la detenzione di una pistola. E che non si trattasse di un soggetto qualunque gli investigatori lo intuirono quel giorno stesso. Sul comodino il giovane custodiva dei libri sulla storia della Sacra Corona Unita e dei riti di affiliazione a testimonianza della sua smania di comando che albergava nella sua mente poco più che 20enne.
Dopo un paio d’anni venne attinto dall’ordinanza di custodia cautelare ribattezzata “Bamba” in cui l’allora capo Massimo Donadei, poi transitato nella schiera dei pentiti, lo indicava come un suo fedele braccio destro gestendo lo spaccio di droga e la custodia delle armi. Durante la detenzione il nome di Pio Giorgio Bove si incrociò con l’indagine sull’omicidio di Peppino Basile, il consigliere comunale e provinciale dell’Italia dei Valori, ucciso sotto casa a Ugento nella notte tra il 14 e il 15 giugno del 2008. A tirare in ballo il giovane di Parabita fu un collaboratore di giustizia di origini napoletane, Giovanni Vaccaro, che accusò il giovane di Parabita di aver assoldato dei cittadini albanesi per compiere l’omicidio del Masaniello salentino e poi di averli uccisi. Le dichiarazioni del pentito, però, non hanno mai trovato alcun riscontro investigativo. Uscito dal carcere, nel dicembre del 2018, è stato nuovamente arrestato per la detenzione di una pistola e di 230 cartucce prima di finire nuovamente in manette per aver gestito un sodalizio criminale dopo aver fatto tanta gavetta criminale.
In mattinata, difeso dall’avvocato Luca Laterza, il principale indagato nell’inchiesta condotta dall’Antimafia di Lecce ha scelto la via del silenzio nel corso dell’interrogatorio di garanzia. Stesso canovaccio scelto da tutti gli altri soggetti finiti in carcere: Salvatore Martello De Maria, di 47 anni, ritenuto l’uomo di fiducia di Bove; Metello Durante, di 40, e Cosimo Francone, di 51, tutti di Tuglie, (difesi dall’avvocato Angelo Ninni); Giorgio Bove, 25enne residente a Matino e Antonio Manco, 32enne di Parabita (assistiti dall’avvocato Maria Greco). Sono previsti, invece, per domani mattina gli interrogatori degli altri soggetti confinati ai domiciliari: Colpo Addolorata Donadei, 31enne residente a Parabita e moglie di Giorgio Pio Bove; Valeria Manco, 29enne residente a Parabita, e Michel Perdicchia, 30enne di Matino.
Cinque le persone indagate a piede libero: Gianluca Augusto Scarlino, 44enne residente a Matino, Andrea Maniglia, 45enne residente a Monteroni di Lecce, Giuseppe Imperiale, 32enne residente a Parabita, Antonio Giordano, 34enne residente a San Cesario di Lecce e Federica Fracasso, 28enne residente a Parabita. Tra gli arrestati c’è anche Rosario Casarano, 43enne di Matino, in Germania da tempo dove vive e lavora e che sarà raggiunto da un mandato di cattura europeo. Il collegio difensivo è completato dagli avvocati Luigi e Alberto Corvaglia.