MONTERONI/LEQUILE (Lecce) – Due ergastoli con isolamento diurno per l’omicidio del direttore di banca in pensione Giovanni Caramuscio ucciso dopo un tentativo di rapina nei pressi di uno sportello bancomat il 16 luglio del 2021. Il carcere a vita è stato inflitto a carico di Paulin Mecaj, 31enne di origini albanesi, indicato come l’esecutore materiale e per il complice Andrea Capone, di 28 anni, entrambi residenti a Lequile, finiti sul banco degli imputati con le accuse di omicidio aggravato in concorso, ricettazione e porto abusivo di arma.
Ad emettere la sentenza sono stati i giudici della Corte d’Assise di Lecce (Presidente Pietro Baffa) che hanno alzato le richieste di condanna invocate dal pm Alberto Santacatterina che si era fermato a 22 anni per il complice. Il massimo della pena, dunque, nonostante le difese, gli avvocati Stefano Prontera per Mecaj e Maria Cristina Brindisino e Raffaele De Carlo per il salentino, avessero battuto sul tasto della mancanza di volontarietà di macchiare la rapina con il sangue. E, in particolare, il complice si sarebbe limitato ad assistere alla sequenza di fuoco.
Lontano dai microfoni e dai taccuini i familiari del direttore 69enne residente a Monteroni hanno comunque manifestato, attraverso il proprio avvocato Stefano Pati (il risarcimento dei danni verrà quantificato in separata sede), il proprio ringraziamento per la rapidità con cui il processo si è celebrato al di là del verdetto massimo di condanna. A nulla, dunque, sono valsi i tentativi dei due imputati di chiedere perdono ai parenti della vittima prima per iscritto con due lettere e poi in aula a voce. Quella richiesta di clemenza era stata rispedita al mittente dal rappresentante della pubblica accusa quando il, nella sua requisitoria, invitò la Corte togata e popolare” a valutare il comportamento successivo al delitto avuto dagli imputati e a leggere le intercettazioni dei colloqui avuti in carcere con i familiari. Non c’era, a dire del pm, nessuna parola di pietà nei riguardi della vittima dell’omicidio”.
Quella sera, Caramuscio era in compagnia della moglie dopo aver cenato in casa di un nipote. Prima di rincasare, la coppia aveva deciso di effettuare un prelievo presso il bancomat della filiale del Banco di Napoli di Lequile, in via San Pietro in Lama. Caramuscio sarebbe stato raggiunto da due individui. Mecaj avrebbe estratto la pistola, una calibro 7,65, e fatto fuoco contro il 69enne che, a sua volts, avrebbe sferrato un pugno nei confronti del complice. Dopo aver esploso i colpi di pistola, Mecaj e Capone hanno lasciato l’uomo per terra, sanguinante e si sono dati alla fuga a piedi. L’arrivo del 118 si è rivelato inutile.
I due presunti assassini, entrambi detenuti, sono stati identificati dopo una rapida e incisiva indagine condotta dai carabinieri del Nucleo investigativo del reparto operativo di Lecce. Mecaj è stato bloccato grazie alle dichiarazioni di un testimone, un ragazzo di 15 anni (ritenuto fondamentale) che hanno permesso agli investigatori di recuperare dal fondo di un pozzo vicino gli indumenti compatibili con quelli emersi dalla visione delle telecamere di videosorveglianza indossati dall’assassino. La successiva perquisizione in casa dell’albanese ha poi consentito di ritrovare la maglietta che Mecaj indossava al momento dell’omicidio e la pistola nascosta in una pianta ornamentale che per il pm custodiva da un mese.
Il complice, invece, è stato incastrato dalla felpa scura a maniche lunghe ritrovata nel pozzo dai vigili del fuoco e che, come emerso dalle immagini dei filmati estrapolati dai sistemi di videosorveglianza passati al setaccio dagli investigatori, era quella che indossava il rapinatore non armato al momento del delitto dell’ex responsabile di banca. Dallo spulcio del telefono del presunto assassino, poi, sono emersi contatti telefonici nei giorni precedenti alla rapina con Mecaj. Per conoscere le motivazioni bisognerà attendere i priossimi 90 giorni.