Trenta anni di carcere sono stati chiesti dal sostituto procuratore della Repubblica di Lecce, Guglielmo Cataldi, per Giampiero Mele, 27enne di Taurisano, accusato di avere ucciso il figlio Stefano di soli due anni, il 30 giugno 2010.
La richiesta della pubblica accusa e’ stata formulata davanti al gup Carlo Cazzella, dinanzi al quale si sta svolgendo il processo con rito abbreviato al giovane padre accusato di omicidio volontario, aggravato dall’aver agito con premeditazione, con crudelta’ nei confronti di un essere indifeso e per futili motivi. Il delitto avvenne nell’abitazione dei nonni del piccolo Stefano, a Torre San Giovanni nel comune di Ugento. Secondo la ricostruzione accusatoria, Giampiero Mele avrebbe premeditato l’omicidio, recandosi nella stessa giornata a comprare la corda e il taglierino con cui prima cerco’ di impiccare il figlio e poi gli taglio’ la gola. Dopo l’arresto, il padre del bambino cerco’ di togliersi la vita e per questo fu dichiarato incompatibile con il regime carcerario e ricoverato in una clinica psichiatrica di Bari, dove si trova tutt’ora. Nella scorsa udienza davanti al gup e’ andato in scena lo scontro tra i periti nominati dalla Procura e quelli della difesa, in merito alla capacita’ di intendere e di volere di Mele. Il consulente nominato dai difensori Angelo Pallara e Gabriella Mastrolia, Serafino De Giorgi, ha, infatti, evidenziato come il ventisettenne non fosse capace di intendere e di volere nel momento in cui uccise il figlio. Al contrario, i periti nominati dalla Procura, Domenico Suma e Antonello Bellomo, hanno sostenuto che fosse del tutto cosciente di quanto stava facendo quando commise il delitto. Gli avvocati di parte civile, Salvatore Centonze e Alessandro Stomeo, hanno chiesto un milione di euro di risarcimento danni per la mamma Angelica Bolognese, con una provvisionale di 200.000 euro, e di 250.000 euro per i nonni materni. L’udienza e’ stata aggiornata al 13 marzo per le repliche dei difensori e la sentenza.