Il naufragio della “Kater I Rades”…e la giustizia senza il “vento in poppa”

kater-radesLECCE – Avevano evitato il processo penale, nella speranza di ottenere in tempi ristretti il risarcimento dei danni, ma il primo grado del procedimento da loro instaurato – quello civile – si è chiuso addirittura due mesi dopo che la Corte di Cassazione ha posto il suo “sigillo” sul processo penale.

I familiari di una delle 84 vittime del naufragio della “Kater I Rades”, la nave albanese speronata dalla Marina Militare ed affondata nel Canale d’Otranto il 28 marzo 1997, hanno ottenuto il risarcimento dei danni per la perdita della loro congiunta ma, se il Ministero dovesse appellare la sentenza (provvisoriamente esecutiva), i tempi potrebbero allungarsi ulteriormente.

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La vicenda – ennesimo esempio della lentezza della Giustizia italiana – riguarda i familiari della trentenne albanese B.K., morta all’età di 30 anni nella cosiddetta “strage del Venerdì Santo”.

Assistiti dall’avvocato Ferruccio Mangani, avevano citato in giudizio il Ministero della Difesa ed il comandante Fabrizio Laudadio (quest’ultimo capitano della corvetta “Sibilla”della M.M. e ritenuto, insieme allo scafista, responsabile al 50% del disastro navale), chiedendo la loro condanna.

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Il got del Tribunale civile di Lecce, dopo dieci anni dall’inizio del processo, ha riconosciuto ai familiari della vittima (ai due genitori, ad un fratello ed a tre sorelle) un risarcimento di 84mila euro, che Laudadio dovrà pagare in solido col Dicastero. Lo “scheletro” della nave albanese, recuperato dai fondali dell’Adriatico a circa 770 metri di profondità, è stato trasformato in un “contestato” monumento ai migranti, installato nella città di Otranto.

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