Torna in aula a Taranto Lucia Bartolomeo, l’infermiera di Taurisano accusata e già condanna all’ergastolo per l’omicidio del marito Ettore Attanasio. I fatti risalgono al 30 maggio del 2006.
A riaprire il processo la prima sezione della Cassazione che, su ricorso della difesa, rappresentata dagli avvocati Pasquale Corleto e Silvio Caroli, ha annullato la condanna, rinviando alla sezione distaccata di Taranto della Corte d’Assise d’Appello di Lecce, per l’approfondimento dell’istruttoria dibattimentale “al fine dell’accertamento- scrivono i giudici- del nesso eziologico tra l’acclarata condotta dell’imputata e la morte di Attanasio”. In buona sostanza, secondo gli ermellini non è detto che l’eroina somministrata alla vittima ne abbia causato il decesso. Per questo hanno ritenuto necessario un confronto tra i periti e i consulenti che già si sono occupati del caso o, magari, una nuova perizia.
Secondo l’ipotesi accusatoria, accolta dai giudici d’Appello che confermarono la condanna al carcere a vita dell’imputata, l’infermiera avrebbe determinato la morte del marito tramite un’iniezione letale di eroina. Tesi che troverebbe conferma nella ricostruzione dei periti nominati dal tribunale e in un sms inviato dalla stessa Bartolomeo al cellulare dell’amante, Biagio Martella, in cui la donna dava ormai per certa e vicina la morte del marito.
Ma il movente della relazione extraconiugale e della conseguente perdita dell’affidamento della figlia, in caso di separazione, è sempre stato considerato insufficiente dai legali della donna. E non ha convinto evidentemente neanche i giudici della Corte di Cassazione: ” Il preannunzio della morte del coniuge- hanno scritto i giudici- perde la valenza indiziata se collocato nel contesto delle precedenti menzogne sulla malattia di Attanasio e della prospettiva, caldeggiata dalla Bartolomeo del ricovero del consorte in ospedale. Eventualità- hanno aggiunto gli ermellini- che avrebbe rappresentato un ostacolo a realizzare il presunto piano di morte e, pertanto, contrastante con la tesi dell’accusa”.
Per i giudici della Suprema Corte bisogna accertare la patologia di cui soffriva la vittima, e quindi l’incidenza della somministrazione di eroina, eventualmente in dose non letale, sulle sue condizioni di salute.