LECCE – Purtroppo, con gli anni che passano, divento sempre più intollerante verso una certa retorica. Non ho niente contro i volontari che hanno voluto dare una mano per rendere l’Università del Salento più bianca (perché è già da tempo al verde), anche se c’era una ditta deputata a fare quel lavoro. Docenti e studenti che si sono dati appuntamento per la simbolica pulizia dei muri di ieri sono sicuro che sono tutti in buona fede. A ognuno, però, il suo. Si va in università non per imparare a fare gli imbianchini o a lavorare gratis (altro vizio che sta devastando il mercato del lavoro). Si sono già presi troppi anni e troppa gioventù questi filosofi del «resta a disposizione che prima o poi arriva il tuo momento». C’è un numero spropositato di persone che dopo la laurea offre il suo lavoro gratuitamente, perdendoci anche la benzina: questa è una sottocultura da abbattere. Certa stampa ha il vizio di ingurgitare acriticamente ogni iniziativa pubblicitaria che le istituzioni propinano con i loro uffici: io non ci vedo nessuna «grande valenza culturale» dietro una ventina di persone, docenti e studenti, che si mettono a fare un lavoro che non sanno fare. Che poi, a parte qualche breve passata di vernice per le foto, il lavoro è stato svolto tutto dall’azienda incaricata.
Piuttosto ci vedo la solita mania di apparire bravi, buoni e belli sulla stampa. Volete che non si imbrattino i muri? Volete dire no ai vandali? E chi vorrebbe il contrario? L’università quei muri doveva tenerli bianchi senza l’aiuto di nessuno: ha i soldi per farlo ed è un luogo chiuso e sorvegliato. Gli zozzoni possono essere individuati e puniti. Inoltre, le tasse sono talmente tanto alte che, oltre a permettere di tenere tutto perfettamente pulito e in ordine, potrebbero consentire di accogliere con i petali di rose l’ingresso degli studenti. Capisco le buone intenzioni di Vincenzo Zara, l’idea di insegnare a non imbrattare i muri e a conservare bene la struttura universitaria, ma non siamo alle scuole medie. Quelle ore perse a fare i presunti imbianchini avrebbero potuto impiegarle per aprire un dibattito su tutto quello che non funziona nelle università pubbliche, che perdono rispetto al privato, sui corsi inutili, sui TFA che sono diventati un business, con gli «esami di adeguamento» a 500 euro, e tanto altro. Se proprio vogliono fare i volontari e gli amanti della cultura, ci regalassero qualche ora di lezione in più.
C’è da capire nelle tasche di chi vanno tutti i soldi dei nostri docenti precari, che passano gli anni migliori della loro vita a fare concorsi, esami e abilitazioni: per ogni prova sono soldi e libri da comprare. Sento sempre parlare di cultura, tutti si riempiono la bocca: certo non mancano le eccellenze, ma sappiamo benissimo che dalle nostre università escono alcuni laureati che non sanno nemmeno scrivere in italiano. Sappiamo che quelli che si distinguono spesso se ne scappano all’estero. Nozioni, libri ingurgitati a memoria (alcuni scritti abbastanza male) e nessun contatto con il mondo del lavoro. Parliamo di questo: l’argomento pulizia sui muri lasciamolo agli assessori all’Ambiente. Fino a qualche anno fa si usciva da Giurisprudenza senza essere capaci di scrivere un atto. Così si finisce in uno studio a 500 euro al mese per 10 anni e, a volte, fino alla soglia dei 40 anni. Siamo ancora messi così male? Perché sono così lunghi i percorsi formativi? Perché bisogna aspettare anni per capire se si può fare o meno un lavoro? Perché se qualcuno è laureato in lingue deve fare altri esami per insegnare lingue, a 500 euro a botta, poi fare un altro esame per il corso di abilitazione (TFA) e un ulteriore concorso per insegnare?
Chi ci guadagna? Nelle tasche di chi vanno tutti i soldi per i libri e gli esami, dopo che siamo stati presi in giro con una laurea che ci illudeva di essere competenti in una determinata materia? Perché non c’è la facoltà di Agraria e sono in piedi corsi che sono una fucina di disoccupazione? Caro Vincenzo Zara, si tolga la tuta da imbianchino e ci dica quanti studenti hanno un ingresso facile nel mondo del lavoro, dopo tutti questi pezzi di carta che consegnate. Ci dica anche quanto guadagna l’università con i TFA, per formare docenti disoccupati! Raccontiamo la verità: moltissimi salentini laureati, se non scappano via, il massimo che trovano è un posto part-time nei call center: spesso si tratta di sottoinquadramento. La vera zozzeria da ripulire è questa: precariato spinto di docenti e laureati, percorsi formativi troppo costosi e troppo lunghi. Abbiamo delle eccellenze, vero, e dei grandi docenti, ma abbiamo anche delle mediocrità. Cominciamo a parlare dei problemi veri: c’è da dare un’imbiancata a molte altre cose. I muri lasciamoli alla ditta incaricata.
Gaetano Gorgoni
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